Grazia Toniolo

Operatrice Socio Sanitaria (O.S.S.)

Il ruolo degli O.S.S. nelle strutture socio-sanitarie è prezioso, e oggi finalmente ha il riconoscimento che merita. Si tratta di figure insostituibili sia per la quantità e la qualità dei servizi che svolgono, sia per la relazione che instaurano con gli ospiti, rappresentando spesso per loro la presenza più intima e familiare. È chiaro che un ruolo simile richiede doti non solo professionali, ma anche caratteriali specifiche. Ci racconta Grazia Toniolo, operatore socio sanitario presso la R.S.A. Sant’Anna di Pianezza, che lo staff diventa in qualche modo una seconda famiglia per i pazienti ricoverati. E questo è tanto più vero per tutte quelle persone che non hanno più riferimenti familiari esterni, o quando la degenza si prolunga e i legami si allentano, come è accaduto durante il lungo periodo della pandemia a causa delle restrizioni sanitarie. Come nelle vere famiglie, i rapporti possono essere affettuosi o un pochino conflittuali. Ognuno tira fuori le proprie risorse ma anche qualche spigolosità…

L’importante è riuscire a far prevalere lo spirito di servizio, anche nei confronti di un paziente più “brontolone” della media, di una famiglia particolarmente apprensiva o di un collega che per mille ragioni si trova in una fase di cosiddetto “burnout”: stanco e a corto di motivazioni per ripartire. Grazia nel trovare questo equilibrio si è rivelata maestra e per questo le abbiamo chiesto di aiutarci a scoprire i segreti del suo lavoro. Nella R.S.A. Sant’Anna, come nelle altre strutture analoghe, vengono ricoverati anziani non autosufficienti, persone lungodegenti e pazienti che necessitano di un periodo di riabilitazione.

Il ruolo dell’O.S.S. copre la maggior parte delle loro necessità quotidiane: dall’igiene al nutrimento, dalla deambulazione al supporto psicologico fino alla semplice socialità – l’essere punto di riferimento e volto amico nel quotidiano. I familiari vedono tutto questo, e spesso ripongono grande fiducia negli O.S.S., tanto da confrontarsi con loro anche su quegli aspetti sanitari che in realtà competono al personale medico e infermieristico. Questo può generare qualche attrito con i colleghi… Ma a livello di gestione si cerca sempre di valorizzare i singoli ruoli senza creare sovrapposizioni, valorizzando anche l’aiuto della psicologa in servizio presso la struttura. La quotidianità è faticosa, usurante sia sul piano fisico che psicologico.

E oggi questo tipo di fatica è spesso più accettata da lavoratori di origine non italiana, che hanno maggiore adattabilità nel sopportare turni scomodi e mansioni che altri ritengono troppo “umili”, ma che fanno la differenza nel garantire agio e serenità ai pazienti e in quanto tali sono valorizzati nella nostra Cooperativa. Stare dentro una R.S.A. significa avere continuamente a che fare con la sofferenza, con il decadimento fisico e cognitivo, con la morte. Non è semplice. Non lo è per le persone ricoverate, che in molti casi “subiscono” decisioni prese dalla famiglia per necessità, oltre che per garantire loro la migliore assistenza sanitaria. Non lo è per i professionisti coinvolti, inclusi gli O.S.S.. Fra i loro compiti c’è anche la ricomposizione delle salme: l’ultima forma di accudimento, l’ultima carezza a qualcuno che spesso hanno accompagnato per anni, e col quale hanno avuto un rapporto di sincero affetto.

Sarebbe sbagliato però considerare le R.S.A. soprattutto come luoghi di malattia e morte. Perché sono anche luoghi pieni di vita. Molti pazienti, magari entrati riottosi, si sono visti rifiorire nella struttura, perché da un’esistenza routinaria e solitaria sono stati inseriti dentro una rete di relazioni nuove, di stimoli e proposte creative. Il giardino e la palestra per la riabilitazione sono una risorsa incredibile per chi ha potenzialità motorie ancora buone. E la presenza dei volontari dal territorio, grandi alleati degli O.S.S. nel quotidiano, fa sì che non ci si annoi mai…

Addirittura le persone più solitarie certe volte implorano una giornata di quiete e di noia! Basta entrare alla Sant’Sanna, o in un’altra R.S.A. Frassati, con un minimo di curiosità, per sfatare in breve il mito, purtroppo cresciuto con la pandemia, delle strutture per anziani come moderni “lager” dove si viene parcheggiati in attesa della fine. Non è così, né mai potrebbe diventarlo. E non soltanto grazie alle normative e ai controlli che giustamente si applicano alle strutture convenzionate col pubblico. Il merito è di chi, primi fra tutti gli O.S.S., a quelle strutture dedica un impegno e una passione speciali.

Quando si lavora con le persone, dice Grazia, non è mai “soltanto” un lavoro. C’è un patrimonio di emozioni che si accumula, di ricordi che i pazienti ti affidano, di abilità che nessun corso può insegnare, ma soltanto la pratica quotidiana. Ci sono simpatie e talvolta antipatie, frustrazioni e soddisfazioni, sfinimenti e momenti che ripagano di qualsiasi fatica. Come quando in struttura è arrivata la figlia della signora Augusta, che in passato era venuta tante volte a salutare la mamma, centenaria, primissima ricoverata della Sant’Anna. Già allora pronosticava: vedrete che un giorno verrò a farvi compagnia! Ed eccola, davvero, insieme a noi, a rinnovare quel patto di fiducia del quale più di qualsiasi altra cosa in Frassati siamo orgogliosi.

Professionalità, umanità e… Grazia Come hai intrapreso la professione e quando sei arrivata in Frassati?

Ho lavorato a lungo nell’attività di commerciale di famiglia, e quando ha chiuso non me la sono sentita di restare con le mani in mano. Un’amica che aveva intrapreso la formazione come O.S.S. mi ha incoraggiata a tentare, e fra il 2007 e il 2009 ho seguito il percorso professionalizzante organizzato dalla Regione. Mi sono trovata a mio agio e ho capito che poteva essere la mia strada. Sono arrivata in Frassati per un tirocinio obbligatorio, presso la R.A. Rossi di Montelera a Val Della Torre. Poco dopo mi hanno chiamata per alcune sostituzioni e infine sono stata assunta. Abitavo a due passi dalla struttura e mi trovavo bene con i colleghi e tutto l’ambiente Frassati. Talmente bene che, quando nel 2016 quel servizio ha chiuso, non ho cercato altri impieghi ma accettato di passare sulla R.S.A. di Pianezza.

Quali sono le qualità più importanti per svolgere al meglio il lavoro?

Bisogna essere scrupolosi, pazienti, flessibili. Ricordarsi sempre di rappresentare, per le persone che accudiamo, dei punti di riferimento a 360°. Perché siamo le figure più presenti dentro la struttura, quelle che gli ospiti vedono con maggiore continuità e a cui affidano gli aspetti più intimi della propria vita, dalla cura del corpo… alle capriole dello spirito. Dentro una R.S.A. le persone vivono anche situazioni emotive difficili, a partire dal distacco dalla famiglia e dalla casa in cui hanno sempre abitato.

C’è un senso di privazione, di straniamento da affrontare. Ci sono le preoccupazioni per la salute, la frustrazione di non poter più essere autonomi in tante cose. Bisogna accogliere le paure dei pazienti e trasformarle nella gioia per i piccoli piaceri quotidiani ancora possibili. Bisogna vincere la diffidenza di chi, perdendo lucidità, sente venir meno ogni orizzonte. Per me che sono un po’ timida all’inizio non è stato semplicissimo destreggiarmi dentro questa complessità di rapporti. Ha richiesto un grande lavoro su me stessa, che di fatto non è ancora finito.

Trovi queste qualità valorizzate all’interno del mondo Frassati?

Certo, per me è ovvio che dentro Frassati si debba dimostrare di svolgere il proprio compito sempre con quell’attenzione in più al benessere del paziente e all’armonia del contesto intorno. Non siamo tutti uguali, e ciascuno può avere delle difficoltà nel conciliare aspirazioni personali e impegno professionale, dei periodi di maggiore fatica… Però in Cooperativa vieni messo in condizione di vedere le ricadute dirette del tuo impegno. I riguardi richiesti verso i pazienti, devo dire, sono riservati anche ai lavoratori.

Cosa diresti a un giovane che prendesse in considerazione questa strada?

Che quello dell’O.S.S. non può essere un mestiere “di ripiego”.

Perché richiede tanto: tanto tempo, tanta flessibilità, tanto sforzo fisico e anche tanta disponibilità emotiva a mettersi in gioco. E poi gli direi che, senza sopravvalutarsi, è giusto avere consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo, proprio per svolgerlo bene. Quindi se uno pensa “non so fare nient’altro, provo a fare l’O.S.S.”, commette un torto verso sé stesso e verso una professione bellissima. Ci sono ovviamente contesti nei quali è tutto più semplice. Negli ambulatori medici gli O.S.S. lavorano su turni più gestibili e svolgono mansioni più leggere, senza necessità di instaurare un rapporto di particolare fiducia coi pazienti. Ma per lavorare in R.S.A. bisogna essere pronti a mettersi veramente al servizio. È un contesto più impegnativo però davvero gratificante.

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